Il Sole 24 Ore -Quanti misteri in collina
Umbria: in un piccolo comune di collina avvengono omicidi che sembrano rispondere a una regola ricorrente, come se i delitti avessero una propria implicita e motivata ragione. È questo enigma combinatorio che gli investigatori devono sciogliere, sondando a fondo persone, fatti, racconti, consuetudini; e soprattutto prestando attenzione.
Come i giudici della Colonna infame di Manzoni che «avevan furia», anche l'ispettore Montemurro della questura di Perugia ha «fretta» di risolvere il caso efferato, di «arrivare a una soluzione, qualunque essa fosse». La chiave sta invece nell'ascolto paziente delle cose, nel rilievo e nell'interpretazione lenticolare delle tracce, nel lucido raccordo tra presente e passato, nell'illuminante interrogazione degli oggetti: che devono coniugarsi con la traballante esistenza quotidiana, le incertezze sentimentali e famigliari, il bisogno di pace.
Ogni indagine solleva il velo su quel mondo sotterraneo col quale abitualmente conviviamo e che tendiamo a non volere vedere, spesso per troppa superficialità e precipitazione, talora per interesse e malizia. È soprattutto su questo universo insieme noto e oscuro che si concentra il romanzo di Rossi, alla ricerca di una e di più verità, secondo un principio di moltiplicazione che risulta persuasivo in parecchie direzioni. Le anomalie storiche e religiose si intrecciano e segnano diversi destini individuali, le disuguali condizioni sociali aprono squarci di sfruttamento e di conflitti che lasciano ferite difficilmente medicabili, la corruzione e l'arroganza perpetuano poteri che paiono inscalfibili.
Nel basilare corpo a corpo con la realtà, insieme a quella dell'ispettore Montemurro spicca la figura ariostesca dell'agente di polizia Nicola Russo, complementare e decisivo nello scioglimento dei misteri che attanagliano da decenni il paese di Montone.
Dalla sua ardua e sommersa ricerca di identità personale deriva «quella capacità di nascondersi» da cui scaturisce «una profonda empatia per la sofferenza altrui»; grazie alla quale «aveva compreso cosa significasse vivere nell'ombra, camuffarsi per la paura di essere giudicati. Aveva imparato a fingersi un altro».
Nello svolgimento della narrazione il percorso liberatorio dall'ombra alla luce caratterizza non solo la sua crescita soggettiva ma quella di un'intera comunità.
Gino Ruozzi